La proteina APOA-1Milano, conosciuta per la sua azione protettiva contro l’aterosclerosi, è più efficace se somministrata tramite via orale in un “latte di riso terapeutico”, in quanto consente di ottenere un effetto terapeutico anche a concentrazioni molto basse. Questo perché le piante di riso geneticamente modificate possono essere utilizzate come bioreattori, ovvero come sintetizzatori o produttori di farmaco nel veicolo di somministrazione, il latte di riso, sicuro e non tossico. Inoltre, l’APOA-1Milano mantiene le sue proprietà protettive e anti-infiammatorie non solo nel sistema vascolare (arterie come aorta, coronarie e carotidi), ma anche in altri distretti dell’organismo come il fegato. A rivelarlo è uno studio condotto da un gruppo di ricerca del Dipartimento di Medicina e chirurgia dell’Università di Milano-Bicocca coordinato da Roberto Giovannoni, ricercatore di Patologia generale e immunologia, e appena pubblicato sulla rivista International Journal of Cardiology.
Secondo quanto osservato in modelli sperimentali in vitro e in vivo dai ricercatori, la proteina così prodotta e somministrata ha consentito di ridurre significativamente l’attivazione di macrofagi, ridurre la dimensione delle placche aterosclerotiche a livello cardiaco e aortico dopo sole tre settimane di trattamento, e ridurre l’infiammazione anche in altri distretti dell’organismo come il fegato, frequentemente in sofferenza nei pazienti affetti da sindrome metabolica e aterosclerosi.
«La somministrazione orale tramite il latte di riso derivato da piante geneticamente modificate – afferma Roberto Giovannoni, ricercatore all’Università di Milano-Bicocca – è meno invasiva di quella per via endovenosa e, per la sua derivazione, non richiede alcun tipo di purificazione, necessaria invece ad esempio per i farmaci ricavati da batteri. Questo consentirebbe di superare i limiti delle terapie basate sull’APOA-1Milano e migliorare l’utilizzo di queste molecole come agenti terapeutici per i pazienti cardiovascolari, ottenendo la possibilità di veicolare quantitativi di principio attivo adeguati alla terapia senza costi esorbitanti». E su larga scala. Nei modelli di produzione dei farmaci basati sui processi di purificazione appena lo 0,3 per cento per ogni 100 grammi di farmaco è utilizzabile per la somministrazione al paziente.
«In questi mesi si sente spesso parlare di innovazione nel campo agroalimentare – prosegue Giovannoni, che è anche membro del recentemente costituito centro interdipartimentale BEST4FOOD dell’Università di Milano-Bicocca – e questa ricerca dimostra come le biotecnologie vegetali possano essere impiegate per utilizzare il cibo in maniera alternativa, ovvero come veicolo di un farmaco in modo sicuro ed efficace».