Le origini del nome
Le origini del nome riso sono antiche e partono dai paesi orientali. In Cina abbiamo tanti diversi nomi: per esempio il riso era anticamente detto tao-gu, mentre la pianta gengmi, ma daoyang era ed è ancora oggi la pianta giovane. La pannocchia del riso è un ideogramma pronunciato dao, mentre il riso appena raccolto è h’sien. E se l’integrale è detto kong, l’ideogramma del riso raffinato non cotto suona “mi”, mentre cotto è detto fan. Il tragediografo greco Sofocle nel V secolo a.C. indicò il riso lungo il fiume Indo con il nome orinda (ancora oggi lo usano alcune popolazioni indiane). In Persia era birinj, in Illiria oriz, tragos, thophe, siligo, bromos, olyra. Nell’Antico Egitto era detto lyra, mentre per gli Arabi era eruz, uruz, aros e ar-ruzz.
Il nome riso deriva invece dal latino oryza, a sua volta derivato dal greco e utilizzato da Linneo. Il termine greco è un prestito linguistico dall’iranico Brizi, derivato da orìya, utilizzato nelle aree indiane del golfo del Bengala. In italiano, nel francese riz, nel tedesco Reis e nell’inglese rice (ma il riso grezzo è paddy) si intendono sia la pianta che il frutto. Lo spagnolo e portoghese arroz proviene invece dai nomi arabi ar-arruz e aros. Nel greco moderno il nome del riso crudo è rizi, mentre dopo cottura diviene piláfi (che noi colleghiamo alla tecnica di cottura pilàf).
Le origini della risicoltura
La storia del riso e della risicoltura inizia in Asia, con la specie Oryza sativa. Siamo ai piedi dell’Himalaya: lungo il versante cinese sono nate le forme di riso tipo japonica, mentre nelle aree a sud della catena montuosa si sono sviluppate quelle tipo indica. Lungo i fiumi Huang He e Yangtze, tribù organizzate come clan matriarcali arrogavano solo alle donne, secondo la leggenda, il diritto di coltivare il riso.
Nel 1996, nei pressi del delta dello Yangtze, fu scoperta un’arcaica risaia fatta risalire a circa 4000 anni a.C. Era composta da 33 camere di coltivazione, la più grande delle quali misurava 12 mq e la più piccola 1 mq. Gli scavi archeologici portarono alla luce molti grani di riso e le testimonianze di un vero sistema irriguo. I grani di riso più antichi conosciuti risalgono addirittura al periodo tra l’8200 e il 7800 a.C., trovati all’interno di ciotole in siti archeologici della cultura neolitica cinese di Penghtoushan. Dal delta del fiume Yangtze, il riso giunse in Giappone intorno al 2000 a.C., inizialmente nell’isola di Kyushu, detta anche “La terra degli steli piantati nell’acqua”. Qui si sono diffuse principalmente varietà di riso del tipo japonica.
I libri di storia più antichi del Giappone, il Kojiki (712 d.C.) e il Nihon Shoki (720 d.C.) parlano della coltivazione del riso e descrivono la produzione del sake. Addirittura ancora oggi alcune varietà di riso sono coltivate esclusivamente per produrre questa bevanda alcolica nazionale, ottenuta mediante un complesso processo di fermentazione, differente da quello praticato in Cina. Ai tempi di Marco Polo i cinesi conoscevano già 54 varietà di riso, che poteva essere rosa, bianco, giallo, con caratteristiche e fragranze proprie. Durante l’epoca dei Samurai (1600-1868) i giapponesi utilizzarono il riso come unità di misura e strumento di transazioni commerciali. Insomma, il riso e la sua storia sono un emblema del mondo orientale.
Il riso in Europa
In Europa la storia del riso inizia tra il 600 e il 700 d.C., nonostante diversi autori latini e greci lo citino ben prima di Cristo. Nel VI secolo a.C., per esempio, il greco Scìllace documenta un viaggio in India su incarico del re Dario di Persia. Erodoto da Alicarnasso (485-425 a.C.), riferendosi queste memorie, cita il cereale dai semi “simili al miglio, di cui gli indiani si cibano”. Autori greci e latini non parlano del riso coltivato e utilizzato come alimento, mentre ne descrivono l’impiego in medicina e farmacologia.
Non conosciamo l’arrivo della coltivazione del riso in Africa settentrionale, ma Strabone nella sua Geographica scrive di un viaggio in Egitto nei primi anni dopo Cristo, descrivendo una coltivazione di riso in un’oasi del deserto del Sahara. È possibile comunque anche che la diffusione della coltura in Egitto sia legata alla conquista dei territori nordafricani e mediorientali da parte delle popolazioni arabe, a partire dal VII secolo d.C. Nel secolo successivo, infatti, dopo la caduta del regno visigoto, la Spagna è incorporata nel califfato di Damasco. Da questo periodo inizia la diffusione in Europa.
Il riso è documentato nel XII secolo nelle città valenziane di Alzira e Xativa. Circa un secolo più tardi, sotto il regno di Dionigi “l’Agricoltore” e “il Giusto”, avrebbe iniziato a essere coltivato anche in Portogallo, nelle aree paludose lungo il fiume Mondego e nell’estuario del Tejo.
In Francia la coltivazione del riso inizia tra il XV e il XVI secolo in Camargue (editto del 1593 di re Enrico IV), nel delta del fiume Rodano, dove lo si coltiva ancora oggi. Generalmente, si diffonde di pari passo con la bonifica di aree paludose e il disboscamento, a cura di grandi monasteri. In Europa prevalgono le varietà di riso japonica.
Il riso in Italia
Nell’Impero Romano preparati di riso erano noti per la cura di molte patologie, compresa la diatesi celiaca, già nota tra il I e il II secolo grazie al medico greco Areteo di Cappadocia. Erano decotti, farinate, estratti liquidi, pozioni e farmaci, adottati in tutta Europa fino a tutto il Rinascimento, nel Seicento e nel Settecento.
Secondo alcuni studiosi la coltivazione avrebbe avuto origine a seguito dell’occupazione di Sicilia e Calabria da parte degli Arabi; secondo altri si sarebbe sviluppata nel Napoletano durante l’occupazione degli Aragonesi. Nell’Italia settentrionale la coltura potrebbe essere stata introdotta invece dai soldati di Carlo Magno dopo le battaglie contro gli Arabi, oppure a opera dei mercanti delle Repubbliche marinare. Tutte ipotesi verosimili, che non escludono diversi punti di diffusione contemporanei.
Tra Vercellese, Novarese e Lomellina
Le prime notizie sul consumo di riso si hanno dal 1123 nell’Abbazia di Lucedio, nel Vercellese. Abbiamo poi un documento dell’Ospedale Maggiore di Vercelli che cita nel 1227 una controversia per il mancato rimborso delle spese per miglioramenti di una pileria per rendere bianco il riso. C’è anche uno scritto del 1253, ora nell’archivio arcivescovile di Vercelli, che attesta che agli infermi dell’ospedale S.Andrea veniva somministrato “risum et amigdolas” (riso e mandorle). Nello stesso periodo, nel registro delle spese dei Savoia il riso era elencato tra i prodotti acquistati per preparare dolci. A Milano, infine, nel 1336 il tribunale era intervenuto per calmierare il prezzo del riso.
Siamo però certi di una produzione sistematica e consistente circa un secolo dopo. Il primo documento che cita la coltivazione del riso in Italia è infatti una lettera di Galeazzo Maria Sforza datata 1475. Il duca di Milano promette di inviare dodici sacchi di riso al duca di Ferrara: “da qui ne ricaverete dodici per ogni sacco, contro solo sette del frumento”, scrive. Questo documento testimonia che il riso era sicuramente coltivato in Lombardia in modo abituale.
Partendo dalla Sforzesca di Vigevano, la risicoltura si era diffusa nel Novarese e in tutta la Lomellina, estendendosi nel XV secolo al Vercellese. Il consumo di riso cresce molto nel 1800 tra Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna: si utilizza però prevalentemente il riso Nostrale, dal chicco piccolo e tondo.
La storia dei risi da risotto
Un chicco grosso, lungo, in grado di tenere bene la cottura e di assorbire gli ingredienti durante la preparazione: sono queste le qualità che hanno fatto la storia dei principali risi italiani da risotto. Qualche esempio? Sant’Andrea, Roma, Arborio e Carnaroli. Sono varietà ormai storiche, che però hanno richiesto anni di lavoro e incroci per ottenere un cereale in grado di esaltare al meglio le ricette della tradizione italiana.
Il tutto inizia con un seme arrivato dall’America: il Lady Wright, varietà introdotta nel 1925 in Italia dalla California e che ha dato il via alla storia dei risi da risotto italiani. Il Lady Wright viene da molti considerato il capostipite dei principali risi da consumo interno. Ha un grosso chicco e un’ottima capacità di generare incroci con altre piante, dotate a loro volta di granelli altrettanto grossi.
L’incrocio per ottenere nuove varietà da risotto
Fino ai primi anni ’20 la fecondazione incrociata del riso era una pratica sconosciuta. A scoprirla nel 1925 fu il professor Sampietro della Stazione Sperimentale di Vercelli, con i ricercatori dello stesso centro. Non solo la utilizzarono abbondantemente, ma la divulgarono anche tra gli agricoltori, consentendo così lo sviluppo di nuove varietà. Nel 1936, da un incrocio tra Lady Wright e Vialone, l’agricoltore Giovanni Roncarolo diede vita al Gigante Vercelli. Seguì due anni dopo, da un incrocio tra Lady Wright e Greppi, il Razza 77, dal quale anni dopo ebbe origine il Roma.
Nel 1946 fu il turno dell’Arborio, selezionato nell’omonima località del Piemonte da Domenico Marchetti grazie a un incrocio tra Lady Wright e Vialone. Nel 1950, invece, sempre dalla stessa varietà californiana, nacque il Rizzotto, varietà della quale deriva poi il Sant’Andrea.
La storia del Carnaroli, oggi considerato il “principe” dei risi da risotto, è invece completamente differente. Siamo nel 1945 a Paullo, in provincia di Milano, quando Ettore De Vecchi lo seleziona dall’incrocio tra Vialone e Lencino. Negli ultimi decenni la ricerca ha fatto passi da gigante. In Italia sono stati selezionati risi più resistenti alle malattie, ma anche risi aromatici e pigmentati che vengono utilizzati per preparazioni sfiziose.
Dal 2017 la legge del mercato interno ha disposto che alcune varietà tradizionali continuino a essere vendute con il loro nome. Ma anche che questo nome commerciale sia usato per vendere altre varietà, simili a quelle tradizionali e iscritte in un apposito registro. In questo modo, il miglioramento varietale può proseguire senza che si perda il patrimonio di tradizione legato alle varietà capostipite dei risi da risotto che ne hanno fatto la storia (come Carnaroli, Arborio, Vialone Nano, Roma-Baldo, Ribe, Sant’Andrea). Autore: Giulia Varetti
Comments are closed.