L’introduzione dei processi meccanici e l’utilizzo di fertilizzanti e agrofarmaci ha permesso di aumentare il grado di produttività in agricoltura, sfamando quindi un numero maggiore di persone. Al contempo, tuttavia, la modernizzazione ha aperto la strada a nuove questioni, come gli interrogativi sui cosiddetti “residui di agrofarmaci” che renderebbero i prodotti alimentari contaminati e pertanto meno salubri. Ma è veramente così? Come scopriremo, il problema NON riguarda il riso italiano…
Che cosa sono gli agrofarmaci
Innanzitutto, la prima domanda da porsi è: “che cosa si intende per residui di agrofarmaci”? Gli agrofarmaci o fitosanitari sono prodotti introdotti nell’agricoltura moderna per rispondere alla crescente domanda dei consumatori difendendo le colture da erbe infestanti o insetti dannosi. Ogni agricoltore è tenuto a fare riferimento all’etichetta, approvata dal ministero della salute e apposta sugli agrofarmaci, che ne disciplina l’impiego per preservare la salute dell’operatore, del consumatore e dell’ecosistema stesso.
Se usati correttamente quindi, cioè rispettando le norme indicate sulle etichette, gli agrofarmaci non risultano nocivi. A ciò si aggiunge un ulteriore dato incoraggiante: negli ultimi anni l’uso di fitofarmaci è diminuito in Italia, grazie alle buone pratiche agricole, a migliori tecniche di applicazione e nuove sostanze biologiche più sicure ed efficaci. La sostenibilità ambientale deve procedere di pari passo alla sicurezza alimentare. A tal fine, per preservare la salute dei più piccoli, è stata emanata la normativa europea sui baby food (2006/125/CE), che stabilisce che questi alimenti abbiano residui di fitofarmaci uguali o inferiori a 0,01 mg/kg, il livello di residuo più basso che può essere misurato in maniera affidabile.
Le analisi sui residui di agrofarmaci
Secondo il rapporto UE 2018 sui residui di fitofarmaci negli alimenti, l’Italia si colloca tra i Paesi europei che registrano la minor percentuale di campioni oltre i limiti di legge. La percentuale di campione che superano i limiti (pari all’1, 8%) è infatti inferiore alla media dell’Unione ( 4,5 %) e in discesa rispetto ai dati registrati dall’EFSA (European Food Safety Authority) l’anno precedente ( -0, 7%).
Nella fattispecie, effettuando le analisi sul riso, su 1.071 campioni 671 sono risultati sotto il limite di quantificazione, 228 tra il limite di quantificazione e il limite massimo residuo (LMR) e solo 167 sopra il limite massimo residuo. Inoltre, sono stati rilevati residui non approvati dall’UE : il triciclazolo, presente in 109 campioni (50 dall’India, 10 dalla Germania e 26 di origine sconosciuta) e il carbendazim, individuato in 20 campioni provenienti dall’India. Il riso italiano si conferma dunque più sicuro e genuino, oltre che versatile in cucina. Autore: Marialuisa La Pietra
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