RISO INVECCHIATO O VECCHIO?

Torniamo a occuparci del riso invecchiato, la moda del momento. Cosa apporta dal punto di vista nutrizionale al consumatore? Lo chiediamo a Cinzia Simonelli, Responsabile Qualità del Laboratorio Chimico Merceologico dell’Ente Nazionale Risi: «Dal punto di vista nutrizionale, indagando le diverse componenti (amido, lipidi, proteine, …) e il loro contenuto, non si segnalano variazioni così macroscopiche da costituire un vantaggio o uno svantaggio in senso assoluto per il consumatore. Scendendo nel dettaglio, è importante tenere sotto controllo il contenuto di lipidi in quanto essi sono particolarmente reattivi e possono giocare un ruolo negativo soprattutto nel deterioramento del riso, se non ben stoccato.

Parlare di lipidi significa prendere in considerazione tutte le classi di composti che li costituiscono (acidi grassi liberi, acidi neutri e fosfolipidi). Il contenuto globale di lipidi non cambia  in modo significativo nella fase di stoccaggio previsto per l’invecchiamento. Ciò che può cambiare è invece la loro composizione: gli acidi grassi possono aumentare e i fosfolipidi e gli acidi neutri diminuire. Quando si conserva il riso lavorato per diverso tempo, gli acidi grassi si ossidano formando composti carbonilici che sono i responsabili del sapore stantio di riso vecchio. Questo non accade nel riso invecchiato in quanto, nonostante vi siano delle variazioni nella composizione dei lipidi nel tempo, esso non è conservato come riso lavorato, ma come risone. Potranno essere percepibili quindi sottili differenze in termini gustativi rispetto al riso “fresco”, ma non in senso sgradevole». Autore: Martina Fasani 

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