MATURAZIONE E RACCOLTO DEL RISO

La maturazione del riso

La scelta del giusto momento del taglio ha notevole importanza ai fini della qualità del granello di riso bianco e le difficoltà sono legate al fatto che la velocità e l’uniformità di maturazione variano secondo numerose componenti, a partire dalle varietà, ognuna delle quali ha una sua ottimale umidità di raccolta. Durante il processo di maturazione, l’amido, accumulato essenzialmente nelle due ultime foglie, trasloca nelle cariossidi. Il progressivo accumulo termina con la completa formazione del granello. La lunghezza massima della cariosside viene raggiunta 25-30 giorni dopo la fioritura, da settembre ad ottobre. La larghezza e lo spessore, invece, hanno un rapido incremento circa 30 giorni dopo la fecondazione.

Il raccolto e l’essiccazione del riso

Il raccolto del risone, attualmente eseguito con l’impiego di mietitrebbiatrici, fino al 1950 veniva praticato manualmente. I primi successi nella meccanizzazione si ottennero con l’avvento delle mietitrebbiatrici semoventi, provate all’inizio degli anni ’50 dall’Ente Nazionale Risi. Negli ultimi anni, il progresso tecnologico ha raggiunto punte di perfezione altissime, cui corrispondono costi di esercizio altrettanto notevoli. In Italia, le operazioni di raccolta del riso hanno luogo, per la maggior parte, nei mesi di settembre-ottobre.

Il riso appena raccolto contiene una determinata quantità di acqua e ciò può dipendere dalla maturazione più o meno conclusa, dall’imbibizione di acqua piovana o di rugiada, ecc. Il contenuto di umidità del prodotto raccolto supera sempre il 13-14%, cioè il limite massimo consentito non soltanto per la buona conservazione, ma anche per la confacente lavorazione del prodotto destinato all’alimentazione. Se la trebbiatrice è stata la prima macchina che è entrata in risicoltura, l’essiccatoio va senz’altro considerato al secondo posto di questa graduatoria. Attualmente gli essiccatoi sono generalmente di tipo dinamico (in cui il prodotto viene movimentato continuamente o a distanza di alcuni secondi), mentre quelli “statici” in cui il risone viene essiccato in cumulo senza essere movimentato durante il processo sono in progressivo disuso.

I moderni impianti di essiccazione non sono composti soltanto dal corpo essiccante vero e proprio ma anche da tutte le attrezzature complementari tra cui la tramoggia per la ricezione del prodotto umido, i pulitori per la separazione delle impurità e di eventuali corpi estranei, gli elevatori ed i trasportatori a coclea. Il processo di essicazione è controllato da sensori e circuiti elettronici che verificano continuamente  la temperatura di esercizio e l’umidità del cereale.

Lo stoccaggio del riso dopo la maturazione e il raccolto

Se è ben conservato, il riso in magazzino continua a maturare e la cariosside diventa più consistente. Il riso “stagionato” tiene la cottura meglio del “novello”. Durante il “riposo”, si verifica nel prodotto una lentissima respirazione mediante la quale è consumata una modica quantità di zuccheri con produzione di anidride carbonica e di acqua. L’invecchiamento rende l’amido e le proteine meno solubili in acqua; il tempo necessario per la cottura aumenta, in parallelo all’incremento di volume, all’assorbimento dell’acqua, nella resistenza allo spappolamento.

La lavorazione del riso e i sottoprodotti

Quella della lavorazione del riso è un’arte tramandata da generazione in generazione che, nel corso dei secoli, è stata però supportata da macchinari sempre più efficienti e da sistemi elettronici sempre più precisi. Le prime notizie sulla raffinazione del riso in Italia si hanno nel 1499: all’epoca l’eliminazione delle parti esterne del granello avveniva in grandi mortai di marmo o granito, dove all’interno di una cavità ovale operava un palo mosso a mano. Questo sistema manuale fu sostituito in seguito dalle più funzionali ruote a pale, mosse dall’acqua di torrenti o canali. Il riso ottenuto in questo modo era molto diverso da quello che utilizziamo oggi: poco sbiancato, con molte rotture e particolarmente polveroso.

I vecchi impianti di lavorazione erano detti pilerie poiché utilizzavano come pestello un palo di legno con punta metallica denominato “pillo” e furono utilizzati per quasi quattro secoli, fino all’avvento nella seconda metà dell’800 di macchinari più moderni in genere importati dal Nord Europa in grado di lavorare meglio il riso evitando la maggior parte delle rotture. Attualmente la prima fase della lavorazione del riso è la pulitura, durante la quale con ventilatori, pulitori, rilevatori di corpi estranei e un sistema di piani oscillanti i chicchi vengono ripuliti da tutte le impurità. Durante la sbramatura invece viene eliminata la lolla, il tegumento che riveste il riso costituito dalle glumelle: per quest’operazione viene utilizzato una macchina detta sbramino, oggi dotata di rulli in gomma che, girando a velocità diverse, sfregano il chicco e lo svestono.

Il risone ripulito in questo modo viene detto riso semigreggio, decorticato o integrale. Per ottenere invece il riso bianco bisogna procedere con la sbiancatura che prevede l’asportazione del pericarpo (la pellicola esterna che ricopre il chicco)  e dell’embrione, che avviene in macchine sbiancatrici ad asse verticale o orizzontale. Seguono le operazioni di separazione dei granelli rotti o difettosi e dei sottoprodotti, mediante cilindri separatori e selezionatrici ottiche.

Del riso non si butta via niente: sono molteplici gli utilizzi dei vari sottoprodotti derivati dalla lavorazione del chicco. Le rotture possono essere macinate per produrre la farina di riso, mentre la grana verde viene utilizzata per l’alimentazione animale come anche pula e farinaccio (rispettivamente la parte più esterna e più interna del pericarpo asportate durante lo sbiancamento). La lolla è utile nel campo della produzione di energia termica, scaldando l’acqua egli impianti di parboilizzazione, o per la produzione di energie elettrica. Trova utilizzo anche come isolante termico. Autore: Flavio Barozzi (agronomo)

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