Abbiamo voluto capire cosa pensa del riso invecchiato chi lo coltiva. Gli agricoltori sono dell’idea che, potendosi produrre riso invecchiato solo conservando il risone in un certo modo, l’azienda agricola dovrebbe essere incentivata a produrlo. Ma così non è. L’intero processo di invecchiamento avviene nella fase industriale e del valore aggiunto del riso invecchiato all’agricoltore non arrivano neanche le briciole.
Nino Chiò, titolare e conduttore di un’azienda insieme alla moglie Paola Battioli a San Pietro Mosezzo (No) sottolinea: «i maggiori costi di stoccaggio devono essere riconosciuti all’imprenditore agricolo qualora si facesse carico del processo d’invecchiamento. Il nostro Riso Preciso – spiega Chiò – ha due prodotti di punta, coltivati con metodo biologico certificato dal campo sino al pacchetto. Usiamo la tecnica della pacciamatura verde un’evoluzione del macrobiotico. Queste pratiche trasferiscono al granello caratteri per cui non abbiamo la necessità di invecchiare il riso oltre i 12/18 mesi. Chiarisco, nei primi mesi di “respirazione” si ottiene una maturazione fisiologica e naturale; oltre, parliamo di una vera e propria ossidazione che incede sulla parte “grassa” del granello. Un processo difficile. Coltiviamo il Carnaroli Classico, quello vero, ha un alto contenuto di amilosio e amilopectina (amidi con caratteristiche di resistenza alla cottura e ben sgranato). Rosa Marchetti per contro ha bassi valori di amilosio caratteristiche per un risotto all’onda morbido che manteca da “solo” il suo rilascio di amido crea la cremosità». Autore: Martina Fasani