Si fa presto a dire che il riso è stato “lavorato a pietra”: non sempre è vero. Ma come viene lavorato realmente e cosa comporta la tecnica di trasformazione? Sergio Feccia, perito chimico del Centro Ricerche dell’Ente Risi, propone un excursus tecnico sul procedimento dagli inizi fino ai giorni nostri: «sino al 1800 la lavorazione del risone avveniva inserendo il granello all’interno dei contenitori in pietra sui quali si faceva scendere, in modo alternato, un pistone di legno rivestito, nella parte terminale, da un involucro di ferro. L’azione del pistone sul risone consentiva di asportare, durante le prime fasi del processo, la lolla (tegumenti che avvolgono il granello di risone, costituiti da lemma e palea), mentre con il passare del tempo l’azione accoppiata del pistone e della lolla all’interno del vaso in pietra provocava l’asportazione della pula che riveste il granello di riso sbramato, sino ad ottenere una cariosside di riso parzialmente lavorato. Dopo molte ore di lavorazione si otteneva una miscela costituita dalla lolla, pula, rotture e riso parzialmente lavorato. Il successivo passaggio sui setacci di apposite dimensioni consentiva la separazione delle parti meno nobili (lolla e pula) per ottenere un prodotto finale costituito dal riso parzialmente lavorato. Ovviamente, con questa tecnica di lavorazione la resa alla lavorazione era molto bassa perché si produceva una elevata quantità di rotture».
Verso la fine del 1800 con la fabbricazione delle prime sbramatrici a pietra e resatrici “Amburgo”, il processo di lavorazione subì un notevole miglioramento, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Feccia conferma: «Con questa nuova tecnica di lavorazione il risone veniva prima sottoposto al processo di sbramatura (eliminazione della lolla dal granello di risone per ottenere il riso sbramato) mediante gli sbramini a pietra, successivamente il riso sbramato defluiva all’interno delle rasatrici “Amburgo” le quali, attraverso il processo di abrasione (asportazione degli strati di pula che avvolgono il granello di riso sbramato dovuto allo sfregamento della cariosside posta a contatto tra una mola in pietra che ruota ad elevata velocità ed un setaccio in acciaio con delle aperture rettangolari per consentire la fuoriuscita della pula dalla camera di lavorazione), si otteneva il granello di riso bianco pronto per il consumo. Con questa nuova tecnica di sbiancatura si ottenne un granello di riso più bianco, caratterizzato da un più elevato grado di asportazione degli strati di pula e meglio apprezzato dai consumatori. Con il passare degli anni, sia il processo di sbramatura che di sbiancatura sono stati migliorati, ma il principio base del processo di lavorazione del risone non si è modificato.
Attualmente, nelle moderne riserie il processo di produzione del riso bianco si basa ancora sulla tecnica di abrasione del riso sbramato tra una superficie in pietra ed un telaio in acciaio inossidabile. In ambito internazionale, oltre alla tecnica di sbiancatura per abrasione, la quale ha avuto origine nel continente Europeo, sono state sviluppate delle resatrici che lavorano il granello di riso basandosi sul principio della asportazione della pula mediate il processo di frizione. In pratica il granello di riso sbramato entra all’interno di una coclea che favorisce lo sfregamento tra le cariossidi. La pressione esercitata sui singoli granelli porta alla asportazione della pula ed alla formazione del granello di riso lavorato. Anche in queste resatrici la camera di lavorazione è avvolta da una maglia in acciaio inossidabile forata che consente la raccolta degli strati di pula. Quest’ultime sono principalmente utilizzate nelle riserie degli Stati Uniti d’America e nei Paesi asiatici.
La resa alla lavorazione, cioè la quantità di riso lavorato a granello intero ottenuta rispetto al peso di risone di partenza, varia in relazione alla cultivar di riso. Generalmente, le varietà di riso caratterizzate da un granello grande e dalla presenza della perla, ad esempio le tipiche varietà da risotto, sono contraddistinte da una minore resa alla lavorazione rispetto alle cultivar a granello tondo o lungo B». Autore: Martina Fasani
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