Torna l’iniziativa “ Seminare il futuro”, la semina collettiva del grano che maturerà la prossima estate. L’obiettivo è dare spazio ai semi liberi e adatti ad un’agricoltura biologica, che necessita di varietà diverse rispetto a quelle selezionate per l’agricoltura convenzionale.
Si tratta di un passaggio imprescindibile, considerando che la Strategia europea Farm to Fork prevede che entro il 2030 i campi biologici arrivino al 25% della superficie agricola del continente. Oggi il bio copre solo un terzo di questo target, l’8% delle terre agricole europee (in Italia questo dato quasi raddoppia, salendo al 15,8%) e questo numero faticherà a crescere se non si sviluppano semi adatti all’agricoltura che rispetta il suolo e l’ambiente.
Seminare il futuro con NaturaSì
Anche quest’anno, nel rispetto delle norme di contenimento Covid19, le aziende agricole biologiche e biodinamiche dell’ecosistema di NaturaSì hanno “simbolicamente” aperto i loro campi ai cittadini per celebrare un gesto antico e sempre attuale come la semina. Seppur in forma ridotta (sono state circa 10 le aziende bio che hanno partecipato a questa X edizione), NaturaSì e la Fondazione Seminare il futuro hanno voluto tenere fermo un appuntamento che ha un forte valore di sensibilizzazione ambientale, ed hanno puntato sull’incontro “Storie di semi. Dal campo alla tavola”. Sono intervenuti il medico ed epidemiologo Franco Berrino, Fabio Brescacin e Fausto Jori di NaturaSì; Marco Paravicini di Cascine Orsine; Federica Bigongiali, direttrice generale Fondazione Seminare il futuro. A moderare il dibattito, il giornalista del Corriere della sera Paolo Virtuani.
Oggi nei campi si utilizzano prevalentemente sementi selezionate per l’agricoltura convenzionale. Una buona parte degli agricoltori biologici utilizza gli stessi semi, che non si adattano al sistema bio perché selezionati per produrre piante adatte all’uso di concimi chimici: grano più basso, con radici superficiali che non sono in grado di andarsi a trovare il nutrimento naturale fornito da un suolo fertile.
«Il bio ha bisogno di più ricerca, a cominciare da quella sulla selezione di semi adatti”, afferma Fausto Jori, amministratore delegato di NaturaSì. «È per questo che la Fondazione Seminare il futuro ha cominciato assieme all’Università di Pisa ed alla fondazione svizzera Peter Kunz una sperimentazione su 250 varietà tradizionali di grano duro provenienti dall’Italia e dal Mediterraneo. Ma non basta, ci aspettiamo che il mondo della ricerca nel suo complesso faccia la sua parte per selezionare varietà che rispondano alle diverse esigenze agricole e nutrizionali delle nostre società, rispettando la pianta, il suolo e la biodiversità naturale».
Il biologico si deve “attrezzare”
«Nella storia dell’umanità abbiamo quasi sempre potuto accedere ad un’amplissima varietà di cibi, che si è poi impoverita con lo sviluppo dell’agricoltura e drammaticamente ridotta con l’agricoltura industriale, che ha privilegiato solo poche varietà molto produttive”, spiega Franco Berrino. «Gli studi epidemiologici stanno dimostrando che la biodiversità del cibo è importante per la salute. Il consumo di frutta e verdura, ad esempio, riduce il rischio di diabete e di cancro, ma la varietà della verdura consumata conferisce un’ulteriore protezione. La varietà di frutta e verdura nei primi anni di vita, inoltre, protegge dallo sviluppo di allergie alimentari. Le fibre vegetali sono il principale nutrimento dei batteri intestinali benefici, e la biodiversità del cibo vegetale garantisce un buon funzionamento del microbiota, la nostra difesa contro le malattie infettive e le malattie autoimmuni. Mangiamo dunque tutto quello che il Padre eterno ha messo a disposizione nelle varie stagioni – conclude l’oncologo – e diffidiamo della finta diversità degli innumerevoli prodotti industriali».
Per aumentare la biodiversità agricola e alimentare necessaria alla salute, oltre che allo sviluppo dell’agricoltura biologica, NaturaSì insieme con altre realtà del bio italiane ed europee sostiene la Fondazione Seminare il Futuro che promuove la ricerca e la produzione di sementi 100% biologiche, il così detto Organic Breeding, anche attraverso la creazione di comunità agricole che fanno dello scambio, della coltura e della selezione della varietà di sementi non ibride il fulcro della loro attività.
«Antico non basta: il biologico si deve attrezzare non solo per creare piante adatte a fertilizzanti naturali, ma anche contro il cambiamento climatico e l’insorgere delle nuove patologie vegetali collegate. E per farlo serve ricerca e sperimentazione e il nostro Paese, pur essendo il secondo in Europa per estensione del bio, su questo non è all’avanguardia», spiega Federica Bigongiali, direttrice della Fondazone Seminare il Futuro, che assieme all’Università di Pisa ed alla Fondazione Peter Kunz collabora ad una complessa sperimentazione su 250 sementi di grano duro – quello che serve per fare il piatto più tradizionale del made in Italy, la pasta – provenienti dall’Italia e dal Mediterraneo, utilizzabili per l’agricoltura biologica. Autore: Marialuisa La Pietra
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