STREET FOOD DI RISO: GLI ARANCINI

Arancini o arancine di riso ? Rispondiamo all’eterna diatriba lessicale sul genere delle palline di riso sicule con alcuni classici della letteratura sicula.

Per la ricetta tradizionale l’’Accademia della Crusca mette riso, salsa di pomodoro e carne (o altro) e la chiama “arancina” di forma rotonda nella Sicilia occidentale e “arancino” di forma rotonda o a punta nella Sicilia orientale, ad eccezione di alcune zone del siracusano e del ragusano. In dialetto siciliano, poi, il frutto dell’arancio si dice aranciu e, nell’inflessione italiana regionale, diventa arancio, poi al diminutivo. Da qui il nome al maschile dell’arancino a punta, che si ispira forse anche alla forma dell’Etna.

Arancino al maschile

Al maschile è quindi il nome adottato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (gli arancini di riso sono al numero 188 per la Regione Sicilia, prodotti di gastronomia). Ricorriamo però ad Andrea Camilleri e ai suoi “Arancini di Montalbano” per portare al grande pubblico gli arancini di riso, diventati celebri sia sui libri che in televisione. Si tratta del titolo dell’ultimo racconto di un’antologia che ne prende il nome. Il commissario Montalbano riceve tantissimi inviti per il Cenone di Capodanno ma accetta l’invito di Adelina, la signora che gli sistema la casa e gli prepara i suoi deliziosi arancini.

Arancina al femminile

Il nome al femminile si ispira probabilmente alla parola “arancia”, di cui l’arancino tondo ricorda la forma. Prima della metà dell’Ottocento non abbiamo traccia in letteratura. Ma Federico De Roberto, ne “I Viceré” scrive: “In città, la cucina dei Benedettini era passata in proverbio; il timballo di maccheroni con la crosta di pasta frolla, le arancine di riso grosse ciascuna come un mellone, le olive imbottite, i crespelli melati erano piatti che nessun altro cuoco sapeva lavorare”. Arancine di riso tonde e di grandi dimensione.

Pippo Nicolosi, della Pasticceria Svizzera di Catania, nella prima meta’ del 900, diede addirittura un’interpretazione sul parallelo tra nome e ingredienti. “Arancini sono quelli maschi, col pizzo al ragù, mentre le arancine sono quelle rotondette, al burro o spinaci”. Certo è che la paternità è da sempre contesa tra palermitani e catanesi, mentre sembra più diffuso il nome femminile nella lingua scritta e quello maschile nella lingua parlata. La variante femminile è stata poi legittimata a fine Ottocento da Corrado Avolio nel suo manoscritto “Dizionario dialettale siciliano siracusano”. Lo fa anche Giacomo De Gregorio nei suoi “Contributi al lessico etimologico di dialetto e subdialetti siciliani” del 1920, così come il dizionario Zingarelli del 1917. Dopo queste tracce si passa alla diffusione del nome al maschile, che è verosimilmente un’italianizzazione del dialetto parlato. Insomma, arancine o arancini che siano, sono parte della storia e della lingua italiana! Autore: Giulia Varetti

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