Cinzia Simonelli, Responsabile Qualità del Laboratorio Chimico Merceologico dell’Ente Nazionale Risi, ci ha detto che il riso invecchiato si riconosce più dal gusto che dalle caratteristiche nutrizionali. Ma quali sono queste variazioni “nel piatto”? «Le variazioni si possono percepire già nel processo di cottura. A seguito delle evidenze descritte, il granello di riso diventa progressivamente più compatto, organizzato e rinforzato dall’invecchiamento. Non si idrata così tanto e così facilmente come prima. I grani non si gonfiano così agevolmente come nell’analogo non invecchiato e inoltre non si rompono con facilità durante la cottura. I costituenti del riso (in particolare amilosio e proteine) non sono resi solubili con la stessa facilità dal processo di cottura e i grani di riso cotto rimangono progressivamente più sodi e intatti con conseguente riduzione delle sostanze perse.
Le proprietà strutturali che vengono influenzate sono la consistenza che tende ad aumentare, e la collosità, che diminuisce. Esse sono correlate rispettivamente con le proprietà sensoriali da panel test “masticabilità” ed “adesività”. Ecco perché gli chef stellati spesso prediligono cucinare i risotti con varietà invecchiate e sono in grado, data la loro sensibilità, di percepirne all’assaggio le differenze con un riso non invecchiato» è la risposta dell’esperta. Autore: Martina Fasani